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martedì 24 marzo 2009

Perché il nuovo piano edilizio del Cav.

di Francesco Forte

10 Marzo 2009

Cementificazione, anarchia. Con queste frasi è stato accolto il progetto, che presto diventerà legge, di aumentare del 20 per cento le cubature delle casse, in deroga ai vigenti piani, mediante licenze edilizie auto certificate. E’ una retorica quasi incomprensibile per questo piano che è conforme all’economia sociale di mercato. Che non è una economia dirigista e vincolista ma una economia basata sulla proprietà e sull ’iniziativa privata, in cui il governo pone regole per evitare che il loro esercizio danneggi le libertà altrui. Regole che preferibilmente sono auto gestite dal privato medesimo in base al principio di sussidiarietà.

Il regime delle licenze edilizie attuale è frutto di una urbanistica assurda, secondo cui la proprietà della superficie del suolo è pubblica ed è lo stato che concede al proprietario privato il diritto di costruire su tale superficie. Spero che prima o poi si stabilisca, in generale, che lo stato non è proprietario del diritto di costruire sul suolo, la lo è il privato, che possiede il terreno.

In una economia sociale di mercato, lo stato regola il diritto di proprietà, non lo crea. Quanto alla retorica per cui ciò faciliterà l’abusivismo edilizio è vero il contrario. E’ infatti facile dimostrare che l’abusivismo pullula quando le leggi sono troppo restrittive e quindi il rispettarle è troppo costoso. Se le leggi sono più miti, la gente le rispetta più facilmente e le autorità pubblica fanno meno fatica e incorrono in minor impopolarità nel farle rispettare. Quanto alla cementificazione, qui l’espressione, carica di vecchia retorica, è fuori luogo. Si ha cementificazione del territorio quando si ampliano gli spazi edificati e ciò accade soprattutto quando si costruiscono case base, come le villette a due piani, che mangiano lo spazio verde e richiedono lunghe strade. Invece, con questa nuova regola, si costruirà un piano in più, sul suolo già edificato. E ciò darà luogo non a un peggioramento ma a un miglioramento ambientale, in quanto si userà meglio lo spazio costruito attuale e si ridurranno i costi di trasporto, dovuti alla necessità di costruire fuori dai centri abitati.

Si ridurrà il costo per metro cubo edificato. Infatti se una casa ha un piano in più, con lo stesso terreno, le stesse fondamenta, lo stesso tetto, lo stesso vano scala, lo stesso sistema di riscaldamento centrale, si riducono le spese per i costi comuni che pesano su ogni vano utile. E quanto agli immobili storici e artistici, il diritto a cubature aggiuntive consente di mantenere meglio la parte vincolata, grazie a un maggior utilizzo della parte non vincolata. Le ricadute sociali positive di questo programma sono evidenti. Che vi si oppongano le sinistre è assurdo, perché è chiaramente una misura che serve per combattere la crisi accrescendo il concreto diritto della gente a farsi la casa. Ed è una bella risposta, che solo una persona fantasiosa e pratica come Berlusconi poteva avere, alla politica forsennata dei mutui immobiliari subprime, che ha innescato la attuale crisi finanziaria mondiale.

Finanziando famiglie con modesto reddito in modo sproporzionato con mutui immobiliari pari al 100 per cento del valore gonfiato degli immobili, si sono create tante nuove case, che non sono state neppure terminate perché le famiglie indebitate sono state sfrattate. In luogo di quello spreco edilizio, di quei sogni infranti, ecco il risparmio edilizio, consistente nel valorizzare il patrimonio che c’è operando non sul 100 per cento, ma sul quinto, senza creare nuove case che non si sostengono ma migliorando quelle che ci sono.

Anche il piano anti crisi del governo di 16,6 miliardi di grandi opere che il governo costituisce un intervento di politica congiunturale conforme ai principi dell’economia sociale di mercato. Ed ha anche il vantaggio della coerenza con le altre misure consistenti nel rafforzamento patrimoniale delle banche per far ripartire il credito alle imprese, nella adozione di nuovi strumenti di credito a favore dell’economia da parte della Cassa Depositi e Prestiti e nelle misure di cui si è appena detto, per il rilancio dell’edilizia di abitazione, tutte politiche di sostegno della domanda di investimenti.

Non è vero che la politica di grandi opere serve a poco per fronteggiare la crisi, in quanto i suoi primi effetti si avranno solo alla fine del 2009. Chi fa questa critica sembra non comprendere che l’attuale crisi di origine internazionale è nata da due errori da non ripetere nelle politiche anticrisi: quello di privilegiare la espansione della domanda di consumi rispetto all’investimento nella illusione di un facile benessere per tutti e quello di privilegiare il breve termine rispetto al medio e lungo termine senza curarsi della sostenibilità della crescita.

Il piano delle grandi opere che il governo vara con ricorso a stanziamenti di bilancio, a risorse della comunità europea e all’investimento delle imprese, mediante la finanza di progetto sorregge la domanda mediante la creazione di un capitale sociale che genererà benessere, mediante la crescita della produttività delle imprese e il miglioramento delle condizioni di vita delle persone. La parte del finanziamento a debito, che ciò comporta, ha una contropartita in beni che restano e che produrranno reddito, a differenza del credito al consumo, basato sul finanziamento di mutui immobiliari in eccesso alle capacità di reddito delle famiglie e sulle carte di credito con il principio “spendi oggi, paga domani”, che sono all’origine della crisi bancaria internazionale.

La realizzazione delle grandi opere è un lavoro che si protrae nel tempo e che, anche per la progettazione e l’organizzazione delle attività richiede tempo. Ma fortunatamente si tratta di opere i cui progetti di massima sono già pronti e i cui cantieri possono partire alla fine del 2009. Quindi rientrano fra le politiche che servono di fronte ad una crisi che, dal punto di vista internazionale, non si presenta come temporanea e che nel 2010, se non si provvede sarà più dura che ora. Al presente si può ancora contare sul fatto che nel 2008 il bilancio pubblico ha avuto un deficit inferiore al 3 per cento e che le imprese non presenteranno bilanci negativi per il 2008 in quanto sono riuscite a compensare il cattivo andamento del quarto trimestre con quello positivo o non negativo dei primi tre. Sino ad ora non vi è stata una diminuzione di occupazione, il reddito delle famiglie a causa della discesa dell’inflazione tiene e le politiche di sostegno mediante gli ammortizzatori sociali, messe in atto, aiutano a superare le difficoltà. Ma dobbiamo guardare avanti e attrezzarci per un secondo semestre del 2009 che, se adottano per tempo le misure adeguate, può essere peggiore del primo.

La spirale discendente in cui si trovano ora gli Usa potrebbe abbattersi su di noi, con uno sfasamento temporale di sei mesi ed è importante preparare le difese. A ciò serve il piano per la casa e serve quello per le grandi opere. Si critica questo piano perché per l’80 per cento riguarda il Sud, ma il lavoro che darà alle imprese, riguarda sopratutto quelle del centro nord. E si sostiene che il ponte sullo stretto è di dubbia utilità mentre sarebbe stato preferibile puntare sui progetti di alta velocità. Ma l’ Alta Velocità Torino Lione e Milano Venezia sono state bloccate dalla sinistra di lotta e da quella di governo. La prima dai verdi e dai sindaci di sinistra, la seconda dal Ministro delle infrastrutture Di Pietro che ha inventato nuove incombenze burocratiche de sostituito il contenzioso giudiziario al lavoro delle imprese. C’è poi la critica di Sergio Rizzo nell’inserto economico del Corriere della Sera sulla dubbia utilità e finanzialbilità del Ponte sullo Stretto, il cui costo è valutato attualmente in 6 miliardi di euro, contro i 5 precedenti. Il miliardo di euro in più disturba enormemente il giornalista. E lo disturba anche il problema del finanziamento di un’opera che, guarda caso, a parte il contributo a fondo perso del governo di 1,2 miliardi è tutta finanziata con finanza di progetto ed è gestita interamente da imprese private. L’opera è destinata a durare centinaia d’anni, fa parte del corridoio europeo Berlino Palermo.

Quando si tratta di ammortizzatori sociali gli ordini di grandezza sono di qualche miliardo ogni anno e l’idea di un miliardo in più non disturba nessuno, di fronte al corridoio europeo Berlino-Palermo ci si blocca e non ci si domanda neppure se collegare la Sicilia al continente e al Nord Europa non sia il modo migliore per combattere le consorterie locali e il controllo del territorio da parte della mafia. Rizzo non crede che esse possano fare in 10 mesi la progettazione esecutiva necessaria per far partire i lavori perché l’Anas di solito ci impiega anni ma sembra ignorare che il privato che alla fine del progetto esecutivo riceve il miliardo statale, ha un interesse a guadagnar tempo, mentre la burocrazia pubblica ha interesse a perderlo. Soprattutto Rizzo (ma molti come lui) non si rende conto che questo ponte sostituirà i traghetti, che comportano una sovvenzione annua alle imprese messinesi e un’altra alle ferrovie dello stato, per i costi del traghetto, i cui ricavi vanno alle medesime imprese. Una parte consistente del finanziamento è costituita dalla devoluzione della sovvenzione alle imprese di traghetto alla società che costruisce il ponte e di quella alle ferrovie al finanziamento della sua quota di partecipazione al finanziamento di quest’opera. Queste spese correnti sono trasformate in spese in conto capitale a favore delle future generazioni. Dal breve termine al lunghissimo termine.

La crisi è nata dalla considerazione dei guadagni finanziari di breve termine, se ne esce con una economia di mercato che guarda al lungo termine nel quadro di una politica pubblica di struttura che la orienta in questa direzione, perché compito dello stato è di curarsi del futuro con un orizzonte più ampio del privato.

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