4912

martedì 6 gennaio 2009

CRISI ECONOMICA? - Marco Ramberti

Perchè gli italiani spendono a Londra quello che risparmiano a casa Italia

Giancarlo Loquenzi

Inserisci uno o più indirizzi separati da virgole. di Giancarlo Loquenzi5 Gennaio 2009 A conti delle feste fatti e finiti, molti hanno osservato come gli italiani avessero lasciato cadere nel vuoto l’invito di Berlusconi a spendere soldi e ottimismo come viatico contro la crisi. Le percentuali sono ancora grossolane e discordanti, ma sembra che manchi all’appello delle spese natalizie qualcosa come il 20 per cento in meno rispetto all’anno scorso, circa un miliardo di euro che sarebbe rimasto congelato dalla paura e dall’incertezza per il futuro.

Forse le cose stanno davvero così e non ho certo dati economici o fonti riservate per sostenere il contrario, ma un qualche dubbio mi resta anche se solo basato su un’impressione. Ho passato infatti una settimana a Londra e la mia impressione è che fosse piena di italiani che spendevano a piene mani. Nelle vie del centro l’Italiano era la seconda lingua (dopo l’inglese) che si sentisse risuonare, e spesso anche la prima. Negli autobus, in metropolitana, nei musei, nei ristoranti, erano gli italiani la specie dominante. Ma soprattutto la loro invasione era mirata ai negozi. Nel reparto cachemire di Harrods, tra le super-griffe di Harvey Nichols, nelle boutique di Bond street e dintorni, così come nei più popolari Gap o Banana Republic, battaglioni di connazionali festanti facevano fondere le loro carte di credito e fluire fiumi di euro nelle casse della perfida Albione. Il nuovo megastore delle Church’s su Regent Street era un accampamento stabile di italiani che si provavano scarpe seduti per terra, negli angoli, in bilico su un piede solo, mentre prendevano ordinazioni da amici al telefono gridando misure e colori in cento dialetti diversi sotto gli occhi attoniti di commessi diafani e silenziosi. Alla fine uscivano trionfanti con scarpe pagate 300 sterline al paio invece dei 4-500 euro che servono a via Condotti o a via Montenapoleone. La scena era simile da Burberry, dove l’assalto ai trench in saldo veniva regolato da imperturbabili bobbies.

Davanti al nuovo negozio di Abercrombie & Fitch, da poco sbarcato a Londra per portare anche nella vecchia Europa il suo stile da college della Ivy League, c’era una fila di tre isolati di ragazzine italiane intirizzite e di padri e madri increduli. Le ragazzine erano tutte dotate di fotocamere di digitali per immortalare la leggendaria bellezza dei commessi, e i genitori di portafogli pronti ad essere svaligiati. Dal lato opposto del palazzo le vedevi uscire raggianti con le loro nuove t-shirt da 40 sterline l’una e la foto del commesso preferito.

Passando davanti alla sede di Chelsea di una delle principali agenzia immobiliari di Londra sembrava fosse in corso una festa di inaugurazione, invece era solo il normale affollamento di quei giorni. Un cartello bene in vista sulla vetrina diceva: “consulenti di lingua italiana”.

Insomma sarebbe interessante se qualcuno si desse la pena di calcolare le spese natalizie degli italiani mettendo nel conto anche quello che hanno lasciato nelle strade di Londra, Parigi o New York. Forse si ritroverebbe una buona parte di quel 20 per cento in meno, del miliardo di euro scomparso e che con troppa fretta s’era messo sotto la voce “paura”.

Semplicemente moltissimi italiani hanno scelto di spendere altrove i loro soldi e magari con più soddisfazione. Non basta infatti solo il richiamo della sterlina debole a spiegare la migrazione tricolore nel Regno Unito. Certo conta, così come conta il fatto che oggi arrivare a Londra in aereo costa spesso meno di Roma-Milano in treno. Ci sono però anche degli elementi strutturali nel confronto tra Italia e Inghilterra che mostrano come la scelta degli italiani, in questo caso e al di là del colore, sia stata anche una scelta razionale.

Citiamone qualcuno. I saldi sono cominciati dall’inizio di dicembre, e sono veri saldi. Ogni giorno i negozi e i grandi magazzini abbassano i prezzi un po’ di più, fino ad arrivare nella fase conclusiva anche a sconti del 80-90 per cento. I negozi sono sempre aperti, anche nei giorni di massima festività, e spesso fino alle 22. Il personale non sbuffa e non discute questioni sindacali con il collega con voi davanti, ma sorride ed è incredibilmente gentile. I marciapiedi del centro londinese erano pieni fino all’inverosimile nell’ora di punta dello shopping, ma le strade erano sgombre e vi sfrecciavano solo autobus e taxi. Mentre sotto correva la metropolitana, anche quella con orari prolungati e convogli speciali. Vedere un’auto privata in circolazione era raro, per non parlare di vederla parcheggiata in doppia fila o davanti alla fermata del bus. Bar, caffetterie, ristoranti di lusso o localini etnici, grandi catene della ristorazione internazionale o piccoli bistrò erano sempre a portata di mano, sempre aperti e accoglienti.

Se avete provato a fare la stessa esperienza nel centro di Roma (o di Milano) nei giorni tra Natale e l’Epifania, avrete colto da soli le differenze.

Gli italiani hanno semplicemente scelto un sistema dove spendere soldi viene premiato davvero, sia in termini di qualità che di efficienza. Hanno capito che il valore di quello che spendono può variare e hanno scoperto che lontano da casa spesso vale di più.

Si è letto spesso sui giornali negli ultimi mesi, e con un vago senso di soddisfazione, che in questa crisi “gli inglesi stanno peggio di noi”. Le banche sono più esposte, la sterlina è crollata, il rapporto deficit-pil è al 7 per cento, l’impoverimento dei cittadini si fa sentire con severità. Ma se è possibile farsi guidare da un’impressione anche nei complessi contesti economici, era evidente in quei giorni che Londra fosse una città vibrante nello sforzo della ripresa, viva, in movimento, pronta a mettersi in gioco e dare il meglio di sé a chiunque volesse comprarlo. Lo slancio e la flessibilità che Londra suggerisce dell’intero sistema inglese fanno pensare che quel paese avverta più forti i morsi della crisi, ma che anche è capace di uscirne molto, molto più rapidamente, rispetto alle pigrizie e ai condizionamenti del resto d’Europa.