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lunedì 29 dicembre 2008

In onore di un grande uomo, che sia fonte di ispirazione.


Addio a Carlo Caracciolo
padre di Espresso e Repubblica


Il settimanale, il quotidiano: sempre in prima fila nell'innovazione
Dalla guerra per la Mondadori alla passione per i giornali locali

Carlo Caracciolo
Di lui Giorgio Bocca diceva: "E' una delle poche persone che abbia conservato il gusto del rischio". E fino all'ultimo ha avuto un pensiero e un'idea per Repubblica e Liberation. Il nostro giornale, il mondo dell'editoria piangono Carlo Caracciolo, fondatore dell'Espresso e poi di Repubblica, editore puro e appassionato, che si è spento in serata a Roma.

Caracciolo era nato il 23 ottobre del '25 ed era presidente onorario del Gruppo Espresso, dove ha lavorato per cinquant'anni della sua vita. E' stato giovane partigiano in Val d'Ossola, si è laureato in legge a Roma, si è specializzato ad Harvard. Si è definito un "editore fortunato". Fin da quando fondò nel '51 la Etas Kompass. Poi animatore e promotore nel '55 di un settimanale che fece la storia del giornalismo come l'Espresso, soprattutto da quando Adriano Olivetti gli girò il pacchetto di maggioranza.

"Quando, a fine anni Cinquanta, Olivetti decise di ritirarsi e mi offrì le sue quote, rimasi sconcertato" ha raccontato Caracciolo. "Ero senza una lira. Gestendo la pubblicità avevo un qualche accesso ai conti, che non erano straordinari. D'accordo con Arrigo Benedetti, il direttore ed Eugenio Scalfari, direttore amministrativo e editorialista di economia, decidemmo per prima cosa di raddoppiare il prezzo, da cinquanta a cento lire..."

Caracciolo non ha mai smesso di rischiare e di divertirsi. Ma anche a considerare questo mestiere un dovere civile, magari scommettendo su pubblicazioni di nicchia, apparentemente senza mercato, ma di sicuro successo. Come ad esempio Le Scienze. A metà degli anni '70 decise, insieme ad Eugenio Scalfari, di puntare su un quotidiano. L'Espresso era appena uscito da una navigazione incerta: dopo aver chiuso per molti anni in pareggio, stava incominciando a guadagnare. Caracciolo poteva puntare a rendite più sicure - la pubblicità, i periodici, i settimanali di target facile, commerciale - lui invece decise di fare un quotidiano: scritto come un settimanale. Un secondo giornale che diventò molto presto il primo per centinaia di migliaia di cittadini.

Così Caracciolo descrisse la nascita di Repubblica. "Da soli, dicevo a Eugenio, non potremo mai farcela. Lui premeva, invogliato dal difficile momento del Corriere, dove Angelo Rizzoli era entrato con l'appoggio esplicito di Cefis, sottraendo a quella istituzione la sua storica olimpicità. Facevamo fra noi un gran parlare del "giardinetto". Alludevamo a un certo numero di industriali che avremmo coinvolto nell'impresa, sotto forma di sottoscrizione di abbonamenti. Oltre a qualche grana, la cosa ci procurò l'incontro, positivo, con Carlo De Benedetti, che per quella via si accostò al nostro Gruppo. Fu Scalfari a pensare a Mondadori. Ci fu poi, nel tardo inverno del '75, una riunione decisiva nella villa di Giorgio Mondadori, a Sommacampagna. Con Mondadori e Formenton, era arrivato Sergio Polillo, uomo di vertice della casa editrice. Minuto, cauto, interloquiva poco. A un tratto, sempre un po' sovrappensiero, emise un giudizio del tipo: "Si può fare". Diedi un calcio a Eugenio: la Sfinge si era pronunziata. Eravamo in porto".

Che cosa sia stato un editore puro come lui, lo descrive proprio Giorgio Bocca nel suo "Vita da giornalista". "Carlo Caracciolo, editore di Repubblica, del Tirreno e dell'Espresso - scrive Bocca - è conosciuto dal grande pubblico come il Principe, il cognato di Gianni Agnelli, un grande charmeur che si occupa di giornali e di libri quasi per hobby. Una volta sono andato con lui a fare un giro in Toscana, l'ho visto passare la giornata a discutere con i distributori: quante copie ha preso il Tirreno a Grosseto, quante ne ha perse a Follonica. Poi combinava con un rappresentante di macchine tipografiche un viaggio a una Fiera di Las Vegas, per vedere l'ultimo modello di una rotativa".

Grazie a personaggi come Caracciolo, il Gruppo è rimasto sempre in prima fila nell'innovazione. Il formato dell'Espresso e di Repubblica, il colore, i supplementi, gli allegati, le guide prestigiose come quella dei ristoranti e dei vini. Per ventuno anni, dal '76 al '97, Caracciolo è stato presidente e amministratore delegato di Repubblica. E Bocca ricorda giustamente l'altra sua grande passione: l'informazione locale. Non solo il Tirreno ma i tutti gli altri giornali che via via hanno fatto crescere il Gruppo Finegil: dal Piccolo di Trieste alla Città di Salerno. Era spesso Caracciolo ad accogliere in una città che fosse Padova o Livorno, il presidente della Repubblica o il premier in visita al giornale locale. Non molto tempo fa ha accompagnato i direttori dei giornali del Gruppo a Palazzo Chigi.

E i giornalisti di Repubblica non possono dimenticare il suo comportamento durante la cosiddetta guerra della Mondadori, ai tempi in cui Silvio Berlusconi diventò presidente della casa editrice. All'inizio degli anni '90, Caracciolo si battè per l'autonomia - e in qualche modo la sopravvivenza - di Repubblica, fino alla famosa mediazione che portò alla divisione. Libri da una parte, con un Silvio Berlusconi che non era ancora entrato in politica. Giornali dall'altra con Caracciolo e De Benedetti, diventato azionista di maggioranza.

Nel libro a cura di Nello Ajello pubblicato da Laterza, Caracciolo racconta senza metafore il suo scontro con il Cavaliere. "Cominciarono a circolare voci che Berlusconi avesse acquistato le azioni della famiglia Formenton (e quindi il controllo di Mondadori ndr). La cosa non mi colse di sorpresa, era il dicembre dell''89. A un certo punto decisi di rivolgermi al diretto interessato. Ero a Milano e mi diressi a piedi proprio in via Rovani a casa di Silvio Berlusconi. Nei giorni precedenti ero stato invitato a cena proprio per quella sera. Venni introdotto in una stanza a pianterreno, piena di dipinti che a prima vista non mi parvero brillare per autenticità. Dopo qualche minuto apparvero Berlusconi e Fedele Confalonieri. Esauriti in breve i convenevoli, il Cavaliere mi disse: "Carlo, ti devo dare una notizia importante. Proprio oggi pomeriggio abbiamo concluso l'accordo. Abbiamo rilevato la quota dei Formenton". Mi infuriai, fino a mezzora prima i Formenton mi avevano detto il contrario. Investii Berlusconi, dicendogli tutto ciò che mi dettava il cuore. "Tu sei un mascalzone" gli dissi".

Fu l'inizio della guerra della Mondadori. Berlusconi da una parte, De Benedetti, Scalfari e Caracciolo dall'altra. In mezzo, un passaggio in tribunale, con un lodo arbitrale e un misterioso pronunciamento della Corte d'Appello di Roma, i cui retroscena vennero fuori solo anni dopo. Nel frattempo, grazie a Giuseppe Ciarrapico, era stata raggiunta un'intesa sulla divisione.

Poche, pochissime volte Caracciolo è entrato in redazione. Una delle ultime, per la festa dei trent'anni di Repubblica. Una presenza discreta, accanto a Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro. Ma una costante attenzione alla vita del nostro giornale, una curiosità per i retroscena legati a un'intervista, un'idea editoriale da sviluppare, una piazza da studiare.

La sua vita è stata paragonata a un grande romanzo borghese. Fu amico fraterno di Gianni Agnelli: sua sorella Marella sposò l'Avvocato nel '53. "Gianni aveva una vitalità straripante, quasi pericolosa".

Ma Carlo Caracciolo non era da meno. E proprio da quella voglia di rischiare, quella curiosità è nata l'ultima avventura. A quasi 82 anni ha acquistato una consistente quota del quotidiano francese "Liberation", il 33% di un giornale storico della gauche, in crisi profonda di finanze e di idee. Facendo spola fra Roma e Parigi, ha rianimato il quotidiano, ha rilanciato il sito web ("perché il futuro passa dalla multimedialità"). E soprattutto, fino all'ultimo, si è divertito.

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