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venerdì 31 luglio 2009

Il Governo alza lo "scudino" fiscale di terza generazione

Rientro dei capitali con aliquota del 5%


di Daniele Cirioli16 Luglio 2009
loccidentale.it


Per favore non chiamatelo condono. Mette al riparo (solo) dagli accertamenti fiscali e contributivi, ma non estingue ogni sorta di reato (falso in bilancio, bancarotta, ricettazione e così via). Meglio parlare di regolarizzazione: una procedura – condivisibile o meno che sia – che consente di sanare le irregolarità legate all’omessa o infedele dichiarazione dei redditi e così far emergere capitali e patrimoni detenuti all’estero. E’ questo lo scudo fiscale di terza generazione (la prima c’è stata nel 2001/2002 e la seconda nel 2003). Dopo una movimentata giornata, non priva di qualche attimo di vera tensione, il governo ha ieri presentato in commissione bilancio alla Camera (tra gli altri) anche l’emendamento che ripropone la misura per facilitare il rientro dei capitali dall’estero.
Tecnicamente, lo scudo fiscale ter prevede due corsie per legalizzare le ricchezze detenute all’estero (non solo quelle liquide e finanziarie, ma anche patrimoniali come gioielli, yatch, opere d’arte, case e immobili – che in tal caso, ovviamente, non possono essere fisicamente rimpatriate in Italia). La prima corsia è il rimpatrio, la seconda la regolarizzazione. La differenza tra di esse è che la prima implica necessariamente il rientro fisico in Italia della ricchezza regolarizzata; la seconda no.
Chi vorrà avvalersi della sanatoria, seguirà le stesse modalità già previste per le precedenti versioni dello scudo fiscale: dovrà presentare una dichiarazione riservata (significa che non verrà conosciuta dal fisco), tra il 15 settembre e il 15 aprile, ad un intermediario finanziario (banche, sim, sgr, agenti di cambio e fiduciarie), in cui indicherà tutti gli importi per i quali chiede l’applicazione del regime agevolato di emersione. Qui c’è un limite temporale: la regolarizzazione funziona solo per i capitali e patrimoni detenuti all’estero al 31 dicembre 2008. Quanto costerà l’operazione? A conti fatti costerà il doppio della prima versione di scudo fiscale, e poco più della seconda versione (ma il costo va visto anche in funzione delle garanzie offerte, che sono ben diverse nelle varie versioni e molto ridotte nell’ultima): costerà il 5% del valore regolarizzato (a tale cifra, la legge ci arriva con un giro di parole che parte dal tassare il 50% dei rendimenti degli ultimi 5 anni commisurati ad un’aliquota ipotetica del 2% – il 50% di (2 x 5) è infatti il 5%). E arriviamo così all’ultimo aspetto della procedura: gli effetti, cioè le garanzie e tutele che vengono offerte a chi presenterà la dichiarazione di emersione.
In buona sostanza, lo scudo fiscale metterà al riparo dagli accertamenti tributari e contributivi con riferimento alle somme che vengono dichiarate (sia in caso di rimpatrio che di sola regolarizzazione), e estinguerà tutte le sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali nonché quelle previste per le violazioni afferenti gli obblighi di monitoraggio (che sta poi nella compilazione di un particolare quadro – il RW – del modello Unico di dichiarazione dei redditi). Tutti gli altri reati tributari e non, dunque, restano fuori: falso in bilancio, bancarotta e via dicendo.
Perciò chiedevo: per favore non chiamiamolo condono. Si tratta di una regolarizzazione, per quanto di difficile digeribilità soprattutto da parte di chi paga onestamente le tasse.
Le reazioni da parte dell’opposizione non si sono fatte attendere. «Serve solo a casta piduista», ha attaccato il leader dell’Idv Antonio Di Pietro. Per poi affondare: «alla casta con lo scudo fiscale si permette di far entrare proventi illegali mentre alle persone normali si impedisce di arrivare a fine mese, come avviene per questi precari della scuola». Secondo Di Pietro, lo scudo fiscale «è anche un’impunibilità bella e buona per tutte quelle persone che, dopo aver guadagnato illecitamente denaro, ora, pagano una misera tangente allo Stato, si rifanno la verginità e il portafogli e dovranno pure essere ringraziati perché porteranno in Italia i frutti delle loro rapine».
Gli ha fatto da eco il leader del Pd, Dario Franceschini: «è un condono nella versione peggiore». Per poi aggiungere «non hanno neanche il coraggio delle loro azioni: hanno detto che non avrebbero fatto lo scudo e invece eccolo qui». Stessa musica è arrivata anche dal candidato alla segreteria del Pd, Pier Luigi Bersani: «lo sconto è impressionante e incomprensibile per chi le tasse le paga; non si capisce come garantire la certezza del periodo fiscale e resta quindi ambiguo se si paghi il 5% o meno ancora; non c’è traccia alcuna di misure concrete tese a ripristinare la fedeltà fiscale».
Se si libera un poco la mente dai soliti pregiudizi politici, c’è spazio per condividere – o soltanto per accettare – le ragioni e i motivi che hanno spinto il governo ad azionare nuovamente la misura. Non si tratta, semplicemente, di un’azione di favoreggiamento per salvaguardare chi abbia nascosto i propri tesori all’estero. La misura mira soprattutto (e lo spiega la ridotta copertura dei reati) a far emergere ricchezze e, per usare le parole del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, «affinché quei soldi tornino ad alimentare la nostra economia». La fase di recessione economica fa il resto: per reperire nuove risorse è forse oggi cento volte meglio uno scudo fiscale che un aumento delle tasse.
Una piccola perplessità, però, ci sia permessa. Non si sa con certezza quanto sarà l’introito effettivo per le casse dello stato, che è l’obiettivo primario e fondamentale da perseguire. Forse 2 miliardi di euro come l’ultima volta, o forse più. La relazione tecnica, simbolicamente, ha indicato 1 euro.
Ma se l’esigenza è quella di fare cassa e non smontare il sistema di Welfare (sanità e pensione: dove stanno i tesoretti italiani), allora perché non pensare pure ad una “regolarizzazione” fiscale per tutti gli italiani? Anche perché l’ultimo condono tributario fruttò poco meno di 20 miliardi di euro (10 volte in più allo scudo fiscale). In questo modo, sì, sarebbero in pochi a lamentarsi (si veda l’ultimo report sulle dichiarazione fiscali degli italiani).

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